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Editoriale


Mercati diversi

Una delle cose che stupisce di più di Linux è il suo tasso di espansione straordinario - nonostante solo da qualche mese le riviste gli dedichino un briciolo di attenzione. Oh, certo, ci sono gli articoli sul Titanic, InfoWorld e i premi che ha dato Linux (e, ugualmente importante, alla comunità Linux come ``migliore supporto''). Ci sono gli articoli incoraggianti, i box con le ``alternative'', le ditte che hanno un server Linux in rete e ne sono felici, gli appassionati e gli hobbisti che lo osannano e che hanno in camera un piccolo tempietto con la foto di Torvalds e le candele.

E con tutto questo, ancora si risentono gli stessi toni alle conferenze quando qualcuno parla del Linux, c'è lo stesso sorrisino che dice ``ah, se avessi tempo ci giocherei anch'io ma devo guadagnare i miei miliardi'' e così via. Le riviste continuano a essere dominate da windows e soci, le librerie da libroni di mille pagine su Windows98, usare Word senza fatica, e simili. Vi siete mai chiesti come mai?

In realtà una rivista vive soprattutto di pubblicità, e a quanto sembra Linux non ne genera abbastanza (o non ci sono abbastanza prodotti da vendere). Prendete una bella rivistona, di quelle con cento pagine di pubblicità e venti di articoli, e capirete cosa intendo. Trovate decine di cloni PC tutti uguali, qualche gadget (il joystick che si pilota con la testa, o il sensore per misurarti la pressione con windows - forse per cercare di controllarla quando Win95 ha perso l'ultimo bilancio o la copia della tesi?) e tanto software. Software spesso infame, ma che grazie al grande bacino di utenza vende comunque bene. Poi ci sono i giochi, i CD con lo shareware, e così via. Insomma, poco e niente.

Cosa interessa all'utente Linux sapere che un pc arriva con win95 e office preinstallato? Assolutamente niente. L'ultima WinPrinter, che stampa solo da 95? Assolutamente niente. Una guida all'uso del mouse, tutta in italiano e con tanti disegnini? Ancora niente. È questa la differenza: prendete il Linux journal e sfogliatelo. Cosa trovate? Multiseriali di tutti i generi, hard disk di tutte le taglie, Workstation Alpha (o, se proprio volete, con il pentium pro) con Linux preinstallato e tante ditte che fanno supporto all'installazione e alla realizzazione di server. Insomma, un altro pianeta.

E questo pianeta si muove su coordinate completamente diverse, e dal mio punto di vista si tratta di un bene. Perché se rivoluzione deve essere, la rivoluzione non deve essere solo dal punto di vista tecnico - in fin dei conti Linux non si differenzia (anzi, differenziava, visto lo sviluppo che ha avuto) dagli altri Unix free che si trovano in rete, come l'ottimo OpenBSD (o FreeBSD, NetBSD e varianti assortite). La rivoluzione arriva in realtà da una variazione in quelli che sono i parametri economici del sistema operativo, dagli utilizzi che ha, dai nuovi mercati che esplora.

No, non credo che Linux soppianterà Windows95. Né che la gente smetterà di comprare NT per appoggiarci una piccola applicazione fatta in Visual Basic. Linux si imporrà in mercati che adesso non si vedono, o che tutti gli altri ignorano; diventerà lo standard di rete nei paesi in via di sviluppo, dove i pc hanno 8 mega di ram se è tanto. Diventerà lo standard dove ci sono diversi tipi di protocolli, diversi tipi di servizi, e bisogna far funzionare il tutto. Diventerà lo standard per l'utente evoluto, che prova un po' di tutto (e che a quel punto può dimenticarsi della guardia di finanza fuori dalla porta di casa).

E di tutti questi mercati nessuno saprà niente fino alla fine, quando improvvisamente si scopre che tutti hanno una macchina Linux a casa o in ufficio (magari non sanno che è Linux, come nel caso di molti firewall dedicati). Il mio sogno? Che il Linux arrivi al successo di un altro progetto accademico, snobbato da tutti fino al momento del boom, dichiarato morto più volte. Il suo nome? Internet.

di Carlo Daffara


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