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ReFUN


Il progetto PLUTO ReFUN

di Alberto Cammozzo

L'articolo...

Mettete insieme una insana attitudine alla conservazione delle cose vecchie, la passione verso i computer ben fatti, il software libero e un museo dell'informatica: la reazione è assicurata.
Nelle foto, scattate durante il Webbit 2003 (una da Simone, l'altra boh, devo averla trovata su superdido.com): a sinistra alcune vecchie macchine con sistemi operativi liberi, a destra alcuni appassionati cercano di installare Linux in codice binario attraverso il pannello frontale del vecchio HP 2100. :-)

Stand PLUTO-MUSI al Webbit 03 Stand PLUTO-FMACU al Webbit 03

Indice


C'era una volta...

Quasi quindici anni fa scoprii una miniera nella cantina del posto dove lavoravo: perforatrici di schede, terminali, stampanti, un vecchio Apple II (oggetto del mio desiderio negli anni Ottanta), cavi gialli ethernet coi relativi "vampiri", tutto accatastato e coperto di polvere, in attesa di essere scaricato dall'inventario e affidato alle rudi cure di Italmaceri. Infatti poco tempo dopo ebbi il dispiacere di veder buttare con malagrazia nei camion quei rottami pagati fortune pochi anni prima. Non che fossi contrario per principio a buttare vecchie macchine, ma ho sempre avuto molta stima per l'ingegno umano e per i suoi frutti: gli uomini passano, ma le opere delle loro mani e delle loro menti restano. Quelle macchine rappresentavano chi le aveva fatte, e alcune di esse erano fatte proprio bene.

In particolare ero incantato dalla straordinaria cura nella progettazione e realizzazione di apparecchi fatti per resistere, durare, essere efficienti. Soluzioni che non vedevo nelle macchine sulle quali allora lavoravo, nemmeno su quelle più costose. Un esempio: insieme ad altri colleghi "archeologi" disseppelliamo dalla cantina un DEC Professional, lo apriamo e scopriamo che le schede si adattano alla loro basetta con dei contatti a ganascia che vengono serrati da una leva girevole: che differenza rispetto alle schede ISA da inserire a forza nella motherboard scricchiolante! La CPU, montata su una scheda molto pulita, era composta da due chip separati. Strano. Accendiamo la macchina, silenziosissima, e questa fa il solito test delle ram e segnala un guasto, mostrando un esploso in grafica 3D della macchina con evidenziata la scheda col chip difettoso. Mai più visto nulla di simile! E a quel tempo litigavamo con dei 386 assemblati particolarmente mal riusciti.

Il MUSI

Qualche anno dopo è stata una vera sorpresa scoprire che a Padova esiste un museo dell'informatica curato da Francesco Piva, un eclettico ed infaticabile amante della scienza, della natura e dell'uomo che raccoglie vecchi calcolatori, software e manuali sotto il tetto del museo didattico di storia dell'informatica (MUSI presso FWT-UNESCO) in una straordinaria collezione, nonostante gli ambienti poco adatti alle macchine e a chi desidera visitarle (attualmente la visita è di fatto impossibile per inagibilità dei locali). Ma questa è un'altra storia, quella della CLAC di Padova, piena di altri "nonostante" e di battaglie per scavalcarli e sopravvivere nonostante i "nonostante".

Nello stesso straordinario, apparentemente inospitale ma umanamente accoglientissimo ambiente si trova il laboratorio padovano del PLUTO, che già conoscevo dalla sua fondazione, ma al quale non avevo mai aderito (per i colori assurdi della pagina web dalla quale avrei dovuto iscrivermi). Danilo, un amico e collega dissotterratore di tesori mi ha invitato nel 2002 a esplorare gli antri del museo pieni di preziosi rottami: abbiamo così iniziato trascinando nella sede PLUTO Padova (detta "cuccia") un Digital, più precisamente un microVaX, se non ricordo male, e vi abbiamo installato sopra OpenBSD. Questa esperienza è stata e resta per noi diversa dalle altre quotidiane installazioni: nessun floppy disk, niente CD: bisogna fare tutto via rete, studiando i protocolli (bootp, rarp, MOP, tftp, ecc...). E solo dopo aver pulito bene l'hardware ed essersi documentati approfonditamente su vizi e virtù della macchina e scoperto cosa è supportato e cosa non lo è: a volte ci sono i driver per il frame-buffer, a volte nemmeno quelli per il disco. Niente di straordinario, ma "resuscitare" vecchie glorie rimaste silenti per anni e accorgersi che funzionano senza fare una piega con un sistema operativo libero dà una certa soddisfazione. E così, trovandoci una sera ogni tanto, nel giro di qualche anno abbiamo recuperato decine di macchine, ingombrando la sede del laboratorio di Padova e infestando i LinuxDay e i Webbit del PLUTO Padova con computer "liberati".

ReFUN come progetto PLUTO

Lo scorso anno la proposta di estendere questa esperienza a tutto il PLUTO ha fatto nascere ReFUN come progetto nazionale: è un modello su come svolgere l'attività di recupero in modo tecnicamente sicuro e nello stesso tempo rispettoso della storia: installare SO liberi non significa voler condannare all'oblio sistemi operativi che possono essere di gran pregio anche se non liberi. Con tutti i limiti del paragone, non vogliamo mica fare come i taliban afghani, che spararono sulle statue millenarie dei buddha solo perché non apprezzavano una religione diversa...

Il progetto ReFUN è descritto nelle pagine di http://refun.pluto.it, perciò è inutile ripetersi. A differenza di altri pregevoli e lodevoli progetti di retrocomputing, come quelli del Golem di Empoli, del Faber di Padova e di altri che non conosco, ReFUN non ha uno scopo dichiaratamente orientato al sociale (recupero di hardware di seconda mano con GNU/Linux per offrirlo a chi non può permettersi un PC nuovo), ma ha come obiettivo più squisitamente hackereccio quello di valorizzare il vecchio hardware di qualità divertendosi e scoprendo cose nuove. Se il frutto del lavoro hackereccio serve a qualcuno e rende il mondo migliore, meglio!

Oltre a darci soddisfazione personale (ogni macchina diversa è una sfida), questa attività ci ha dato l'opportunità di scoprire soluzioni originali ed estrememente efficaci che sono state poi abbandonate, come l'incredibile IndyCAM, le sospensioni in gomma dei dischi del microVax 3300, il cavo unico per video, tastiera, mouse e audio del NeXT o la straordinaria integrazione delle Sparcstation IPX (che nonostante l'impaccamento lasciava lo spazio sulla motherboard per l'immagine del gatto, "mascotte" del progetto). Inoltre ci siamo spesso chiesti perché i moderni PC si ostinino ad usare dei BIOS così rozzi quando i programmi di monitor di Digital, SUN e HP di 10 anni fa fanno molto di più e molto meglio, e come mai l'input/ouput di disco pesi meno sulle vecchie macchine lente che sui nostri PC desktop. Come vedete c'è da riflettere e da imparare.

Il documento presentato al LinuxDay del 2002

Con la pagina che segue abbiamo presentato nel LinuxDay del 2002 i nostri primi risultati e le nostre motivazioni. Dopo altri due anni di lavoro con questi rottami di qualità non saprei descrivere meglio questa attività

Perché lavorare su computer vecchi invece che su quelli ultramoderni e ultraveloci? Perché cercare di installarvi sistemi operativi free? Spesso i vecchi computer sono stati costruiti secondo criteri di qualità che è difficile riscontrare su quelli nuovi, per cui a parità di performance 'grezza' (megahertz di clock o velocità di trasferimento) i loro componenti sono meglio integrati. I sistemi operativi liberi similmente hanno criteri costruttivi determinati dal piacere di fare una cosa fatta bene, non dalle scadenze commerciali del reparto vendite. Inoltre per noi hanno importanza gli aspetti estetici: i modelli che presentiamo oggi, le Sun SparcStation IPX e Next Cube, entrambe macchine della classe workstation, sono belle, cioè sono oggetti che ci piacerebbe molto avere sulla scrivania. Non solo per l'eleganza o la compattezza della scatola, ma per la funzionalità e la corretta integrazione dei loro componenti. Per quanto riguarda il software free, il piacere estetico è dato dalla consapevolezza che è stato scritto non solo perché funzioni bene, ma perché rappresenti chi lo ha scritto davanti ad una comunità di pari che possa riconoscerne eleganza e funzionalità. Questo si somma al piacere di dimostrare che si possono fare cose utili e belle non necessariamente in cambio di denaro.

I sistemi operativi free, come Linux e (Net/Free/Open)BSD ci permettono di divertirci ancora ad utilizzare computer che altrimenti sarebbero "obsoleti". Questo perché il software di qualità gira meglio su hardware di qualità ed il risultato può essere veramente sorprendente.

Il vecchio computer rappresenta una sfida: va pulito da anni di polvere e di uso, da lunghi periodi di immagazzinamento “selvaggio” (a volte alle intemperie, sotto i pini), richiede documentazione, ricerche, ha modalità di funzionamento diverse da quelle dei PC, svela tante strade che la ricerca ha percorso e che sono state abbandonate nonostante esprimano delle ottime idee, e alla fine offre la soddisfazione di una utilizzabilità a volte inaspettata da parte di un oggetto che altrimenti avrebbe solo appesantito il nostro bilancio ecologico come spazzatura; in cambio, è vero, dobbiamo essere più pazienti e meno esigenti.

Tutte le macchine che presentiamo possono utilizzare il sistema operativo sviluppato per loro dalle case produttrici o uno o più sistemi operativi Free, come Linux o *BSD. Di solito i sistemi free sono più veloci...

Riferimenti webografici

Se avete domande tecniche fatele nella lista pluto-refun.



L'autore

Alberto Cammozzo, alias mmzz, fa il computer-sitter presso un'università italiana. Ha imparato l'uso di cd, ls e poi anche su su un AT&T 3B2 ai tempi del BBS del DEI dal quale il PLUTO è nato. Il BBS ora è sparito, e quello che è peggio ne è sparita anche la memoria. Passando per Minix su Atari è approdato a Linux, ma sogna ancora un computer che faccia "Poof". È responsabile del progetto ReFUN, ma chi fa il grosso del lavoro è Danilo Selvestrel (danny[AT]pluto.it).


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